"Non bisogna solo essere onesti, ma apparire onesti. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! [...] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!”. (Paolo Borsellino)

mercoledì 23 settembre 2009

Il camion di Brunetta

Mi è capitata la notizia di un camion che andava in giro mostrando un cartellone con il faccione di Brunetta accompagnato a delle scritte in cui si ripetevano gli epiteti usati dal più raffinato ministro della pubblica amministrazione degli ultimi decenni, cioè panzoni, fannulloni, schifosi e così via elencando, augurando poi qualcosa di indicibile allo stesso. Ora, approfitto di questo episodio per fare il punto su un tema per il quale il buon (si fa per dire) Brunetta si è battuto, quello dell'assenteismo. Personalmente non credo che il modo in cui sia stato affrontato il problema sia quello giusto, soprattutto in un Paese in cui mancano punti di riferimento nelle istituzioni, che spingano a comportarsi meglio, o manchino i controlli sufficienti per impedire, ed eventualmente sanzionare, i comportamenti scorretti da parte dei dipendetni pubblici. Anche perchè, poi, ce lo insegna il camion e la storia, chi semina vento spesso raccoglie tempesta. Non credo che sia questo il modo migliore per affrontare il problema, l'ho detto altre volte e lo ripeto. Soprattutto se in Italia si fanno approvare delle leggi e poi si va in Europa e si evita di far approvare leggi analoghe. Affrontato in questo modo, il problema rischia di penalizzare i pochi sprovveduti e di premiare i soliti furbi che hanno fatto della cultura del privilegio la propria vera occupazione. Il problema, a mio avviso, andava affrontato in maniera diversa.
Si vedono, a volte, servizi, del tipo di quello che è stato mandato in onda da striscia la notizia, in cui alcuni dipendenti sono stati filmati a timbrare più cartellini di ingresso, oppure si parla di dipendenti che navigano su facebook o giocano a video poker, o vanno a fare la spesa, in orario di servizio. Io credo che, per quanti controlli si possano fare, anche a dispetto della privacy del singolo, non se ne verrà mai a capo. L'unica azione valida è quella di lavorare per obiettivi. Il direttore generale, o chi per lui, dà gli obiettivi ai dirigenti, i dirigenti li danno ai propri capi ufficio, i capi ufficio ai propri collaboratori e così via discorrendo. A fine giornata, o a fine settimana o a fine mese, secondo gli abiettivi, si fanno i conti e si vede chi ha lavorato e chi no. Di fronte a questo discorso, potrebbero cadere anche le timbrature del cartellino. Basta valutare che cosa si è fatto, i dati che ciascuno può produrre riguardo al lavoro effettuato. E' perfettamente inutile fare fumo, far vedere che qualcosa si sta facendo, per rassicurare l'elettorato, e poi nei fatti non si fa mai nulla, e soprattutto non cambia mai nulla. E' inutile offendere le persone, così, nel mucchio, dimenticando che, oltre alla zizzania, si rischia di falciare anche il grano e di demotivare i dipendenti onesti e lavoratori. Facciamoli crescere insieme e valutiamoli alla fine. Dopo e soltanto dopo, sui possono emettere dei giudizi di merito e proporre le dovute sanzioni. Che ne dice, signor ministro, cominciamo?

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