"Non bisogna solo essere onesti, ma apparire onesti. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! [...] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!”. (Paolo Borsellino)

lunedì 17 settembre 2012

Sullo sviluppo del nostro Paese.

Ritengo che lo sviluppo del nostro Paese, inteso come nazione industrializzata, debba per forza passare da tre pilastri ineludibili: gli investimenti dei privati verso lo sviluppo tecnologico delle loro imprese, alleggerimento e velocizzazione della Pubblica Amministrazione e della macchinosa macchina burocratica, velocizzazione della giustizia.

Quanto al primo punto, purtroppo, bisogna registrare un netto fallimento delle politiche industriali che, guidate non da imprenditori lungimiranti, ma da prenditori, poco inclini a guardare molto oltre il proprio portafoglio, hanno preferito negli anni aumentare i profitti, fino a fare scoppiare un bubbone fin troppo e troppo bene nascosto. E i risultati si sono visti, con Parmalat, Cirio e via via con Costa Crociere, ILVA di Taranto, passando attraverso Carbosulcis, Alcoa e ora FIAT. Tutti hanno preferito prendere, piuttosto che investire, hanno messo soldi in tasca, fiduciosi di poter fare come in passato, quando le mammelle dello Stato erano opulente. Non si erano accorti che la festa era finita e che ogni ripiano di debiti oggi costerebbe sangue, non solo metaforico, a un popolo già dissanguato da una crisi interminabile e logorante come difficilmente la storia ricorda.

E veniamo al secondo punto, dove troviamo qualche tentativo di rimettere a posto le cose, avviando una informatizzazione delle procedure fin troppo tempo attesa. Ma non basta rifare il lifting ad un volto vecchio, bisogna cambiare il volto per vedere risultati tangibili. e il volto non si può cambiare finché succedono cose come nella Regione Lazio e nella Regione Sicilia, e mi fermo qui, dove ci sono valanghe di assunzioni e strutture elefantiasiche che servono a reggere le campagne elettorali di partiti sempre meno credibili. Senza contare l'età di una classe dirigente che ormai si avvia ad essere la più vecchia del mondo.

E veniamo al terzo punto, forse il più spinoso. Servirebbe un post autonomo per parlare dei problemi e delle soluzioni per una giustizia più veloce e quindi più giusta. Forse può bastare accennare al fatto che ci sono in giro troppi avvocati che fanno causa su qualunque lite da cortile pur di portare il pane a casa, oppure si potrebbe dire che i politici che hanno pendenze con la giustizia dovrebbero essere allontanati dal potere legislativo ed esecutivo fin dal rinvio a giudizio, ferma restando la presunzione di innocenza prevista dalla Costituzione e pienamente condivisibile. Si può continuare con l'abolizione della prescrizione a partire dal primo grado di giudizio e con la possibilità di fare ricorso e accedere al secondo grado solo se si hanno in mano degli elementi veramente significativi, attraverso il pagamento di una cauzione e con la possibilità di veder peggiorare il giudizio del primo grado.

Tante cose si potrebbero fare, ma non saranno fatte finché continuerà a dettare le regole una classe dirigente vecchia, corrotta ed egoista.

martedì 4 settembre 2012

Il festival dell'ipocrisia

Ieri era il giorno di due celebrazioni, una per una persona appena deceduta, il cardinale Martini, l'altra per un uomo di stato morto trent'anni fa, il generale Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia.

E' curioso come, in tutte e due le occasioni, sono state dette cose giuste da persone sbagliate. Infatti, la morte del cardinale Martini dovrebbe rappresentare, per la Chiesa, un momento forse irripetibile per fare un esame di coscienza e raccogliere quell'eredità preziosa che l'alto prelato ci ha lasciato, coerente fino alla fine con le sue parole. Ma, dai primi passi effettuati, la Chiesa, quella delle gerarchie, si è subito affrettata a dire che il caso Martini non può essere assimilato ai casi Welby ed Englaro, perché loro sono morti dopo molti anni dall'inizio della malattia, mentre il cardinale è morto praticamente subito, quindi era normale che rifiutasse le terapie che non gli avrebbero consentito di allungare in maniera significativa la durata della sua vita. Naturalmente non vi è stato nessun accenno al fatto che la tracheostomia e il sondino naso-gastrico sono terapie routinarie per i malati e che di fronte ad una crisi respiratoria e ad una disidratazione acuta possono, non solo essere salvavita, ma a volte sono risolutive di tante situazioni e allungano la vita oltre la nostra immaginazione. Come dire che i temi non negoziabili resteranno tali con buona pace di tutti i bei discorsi sfoderati dall'arcivescovo Scola e dal Papa Benedetto. Nulla cambierà e lo scocciatore Martini verrà definitivamente seppellito, con tutte le sue idee.

Una cosa analoga è successa con la commemorazione del generale Dalla Chiesa, isolato e poi, a quanto pare, ucciso da uno stato che dieci anni dopo ha accettato una trattativa con la mafia e trent'anni dopo discute su intercettazioni nelle quali è coinvolto perfino il capo dello stato. Anche lì l'ipocrisia l'ha fatta da padrone con un ministro degli interni e un presidente del consiglio che giurano sulla priorità della lotta alla mafia. Dopo che non hanno ancora approvato una legge seria sulla corruzione e sull'evasione fiscale.

Un'ultima nota la voglio dedicare al presidente di confindustria che plaude agli incentivi finalizzati all'innovazione tecnologica. Allora, suggerisco di dare i soldi solo a quelle aziende che hanno innovato negli ultimi tre anni e fra tre anni a quelli che iniziano ad innovare oggi. Così si premiano le persone per bene e si penalizzano quelli che vorrebbero, anche in tempi di crisi, continuare a mettere i soldi in tasca senza muovere un dito.