"Non bisogna solo essere onesti, ma apparire onesti. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! [...] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!”. (Paolo Borsellino)

sabato 28 febbraio 2009

Bianca la morte

C’è una guerra silenziosa che si combatte nel mondo. Una guerra di cui, in Italia, si parla sempre meno. E quando se ne parla è solo per opportunità politica, non per risolvere veramente il problema. O i problemi, visto che si tratta di una realtà certamente complessa. Sto parlando dei morti sul lavoro, le cosiddette morti bianche, così chiamate in quanto apparentemente senza responsabili, senza un padre ma con molti figli: le vittime quotidiane.
Si è calcolato che, in un’ora di lavoro, avvengono circa 360 incidenti. Nel complesso gli incidenti sul lavoro sono circa un milione l'anno e i morti più di mille. La statistica, nel 2008, parla di una media di tre morti al giorno per infortunio sul lavoro (compresi i festivi) ed è comunque sottostimata. Mancano quei lavoratori, non solo immigrati, che non sono registrati come tali. E muoiono anche altri lavoratori, vittime di esposizioni ad agenti cancerogeni e tossici che quasi mai, o con grande fatica, riescono a dimostrare che la causa della loro morte è il lavoro. Il settore con più vittime in assoluto è l’agricoltura con una percentuale del 26,7% e, in quest’ambito, nella quasi totalità dei casi si è trattato di incidenti col trattore. Segue il settore dell’edilizia con il 20,06%, quindi l’industria con il 18,83% di vittime.
In Germania, nel 1995 le vittime erano state 1500, duecento più di quelle italiane. Oggi sono scese a 804 unità, ben il 48,3 % in meno, quasi la metà. Questi numeri ci dimostrano come non si tratti di un fenomeno occasionale e relegato a situazioni straordinarie, ma piuttosto un effetto perverso, che sembra profondamente legato al nostro sistema di produzione e quindi, per larga parte, potenzialmente risolvibile.
Ma le morti sul lavoro non sono il solo problema, numerosi sono anche i casi di lavoratori che, a seguito d’incidenti, si sono ritrovati menomati o con ridotte capacità lavorative: privi di un occhio, con i timpani rotti dal rumore incessante delle macchine, avvelenati per l’inalazione di prodotti tossici usati durante la lavorazione, con le mani tagliate dagli arnesi utilizzati, con artrosi dovute agli sforzi sostenuti, con ustioni provocate dal contratto con varie fonti di calore, paralizzati agli arti, ecc. In totale, nel 2008, gli invalidi per causa di lavoro sono stati oltre 26.000.
Sono delitti che non sempre possono essere imputati alla fatalità, ma sono spesso riconducibili a cause ben precise, come la carenza o, più spesso, l’inosservanza di norme che vincolano le imprese, pubbliche e private, a prevenire la possibilità d’incidenti. Purtroppo in Italia solo alcune di queste norme sono applicate e rispettate, non solo dai datori di lavoro. Vi è poi il problema dei controlli, che spesso latitano, viste le incertezze e la ritrosia degli stessi organi istituzionali e delle imprese, tutti preoccupati dalla possibilità di portare all’attenzione pubblica, tante situazioni di lavoro sommerso, ancora presenti, soprattutto nel Meridione.
Tra i rimedi necessari ci sono un maggiore investimento sulle attività di prevenzione e controllo, l'introduzione di sanzioni adeguate alla gravità ed alle conseguenze dei comportamenti, l'organizzazione di un apparato amministrativo e giudiziario che assicuri l'applicazione certa e rapida delle sanzioni e la promozione di iniziative informative, formative e culturali che sviluppino nel medio-lungo periodo una maggiore attenzione alla prevenzione. E quindi pubblicare i dati sugli infortuni e malattie professionali, oltre che tempestivamente, non solo a livello nazionale, regionale e provinciale, ma anche per ASL, per distretto, per comune e per azienda. Ogni giorno, i telegiornali dovrebbero raccontare la storia di un morto sul lavoro (il materiale, purtroppo, non manca), spiegando chi fosse, quale lavoro svolgeva, quali fossero le cause immediate o mediate che ne hanno provocato la morte e cosa questo ha voluto dire per i famigliari, gli amici, i compagni di lavoro.
In attesa dei tempi biblici e incerti della politica, infine, ciascuno di noi deve chiedersi cosa può fare nell’immediato. Ogni giorno, prima di iniziare la nostra attività quotidiana, ricordiamo ai nostri cari, mariti, mogli, figli, l’importanza del rispetto delle regole che già ci sono. Ricordiamo, agli altri e a noi stessi, che ogni apparente perdita di denaro è da considerarsi un investimento, ed ogni apparente perdita di tempo può rappresentare la conquista di un futuro certo e migliore. E, magari, col semplice gesto di un bacio, ricordiamo ai nostri cari la bellezza, a fine giornata, del ritorno sereno a casa.

venerdì 27 febbraio 2009

La nuova legge sul testamento biologico

Dieci articoli per regolamentare il dibattuto tema del testamento biologico. Il testo Calabrò, che ha ottenuto il via libera della Commissione Sanità del Senato per essere adottato come testo base per un provvedimento sul tema, prende il nome di 'Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento', e si propone come una sintesi di una serie di disegni di legge in materia.
Nei primi 3 articoli del testo vengono delineate le finalità del Ddl che vuole garantire l'inviolabilità e l'indisponibilità della vita umana, nonché la tutela della salute come fondamentale diritto del cittadino e della collettività, assicurando la partecipazione del paziente all'identificazione delle cure mediche all'interno dell'alleanza terapeutica tra medico e paziente. Agli articoli 2 e 3, nello specifico, si precisa il divieto di ogni forma di eutanasia attiva e al suicidio assistito, e si sancisce il divieto di forme di accanimento terapeutico. All'articolo 4 si disciplina il consenso informato, mentre all'articolo 5 si entra nel vivo della delicata questione - indubbiamente il nodo più controverso del provvedimento - dell'idratazione e dell'alimentazione artificiali.
L'articolo 5, infatti, disciplina i contenuti e i limiti delle Dichiarazioni anticipate di trattamento, le cosiddette Dat, attraverso le quali il dichiarante esprime il proprio orientamento sui trattamenti medico-sanitari e di fine vita in previsione di una futura perdita delle capacità di intendere e di volere. Non possono essere inserite indicazioni finalizzate a eutanasia attiva o omissiva. E si specifica, inoltre, che alimentazione e idratazione artificiale, in quanto forma di sostegno vitale, non possono costituire oggetto di dichiarazioni anticipate. Ciò significa, in altre parole, che non verrà data la possibilità di scegliere anticipatamente, e in piena coscienza, di sottoporsi ad alimentazione e idratazione artificiali qualora ne avessimo bisogno trovandoci in condizione di disabilità. Nel testo si determina, inoltre, che le Dat acquistano efficacia dal momento in cui il paziente in stato neurovegetativo sia incapace di intendere e di volere. La valutazione dello stato clinico spetta a un collegio formato da 5 medici, composto da un neurologo, un neurofisiologo, neuroradiologo, il medico curante e il medico specialista di patologia.
Negli articoli 6, 7 e 8 si afferma che le Dat devono essere redatte in forma scritta da persona maggiorenne in piena capacità di intendere e di volere, accolte da un notaio a titolo gratuito. Sono sempre revocabili e modificabili hanno validità di 3 anni, termine oltre il quale perdono efficacia. L'articolo 7 prevede la nomina di un fiduciario che, in collaborazione con il medico curante, si impegna a far sì che si tenga conto delle indicazioni sottoscritte dal paziente. L'articolo 8 garantisce al medico la possibilità di disattendere le Dat, sentito il fiduciario, qualora non siano più corrispondenti agli sviluppi delle conoscenze scientifiche e terapeutiche, motivando la decisione sulla cartella clinica. In caso di controversia tra medico e fiduciario la questione va sottoposta alla valutazione di un collegio di medici designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero. Tale parere non è vincolante per il medico curante, il quale non è tenuto ad applicare prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico.
Agli articoli 9 e 10 si disciplina l'ipotesi di contrasto tra soggetti legittimati a esprimere il consenso al trattamento sanitario. La decisione viene assunta, su istanza del pubblico ministero, dal giudice tutelare o, in caso di urgenza, sempre dal giudice sentito il medico curante. Nelle disposizioni finali è prevista l'istituzione di un registro delle Dat nell'ambito di un archivio unico nazionale informatico al Consiglio nazionale del notariato, consultabile in via telematica unicamente dai notai, dall'autorità giudiziaria, dai dirigenti sanitari e dai medici responsabili del trattamento sanitario di soggetti in caso di incapacità. Nessun accenno al tema delle cure palliative.

giovedì 26 febbraio 2009

Io, i ragazzi del liceo e le parole di Mancuso.

Ieri sono stato invitato a fare un intervento in occasione di un'assemblea di istituto presso il Liceo Scientifico "S. Trinchese" di Martano (LE). L'argomento era incentrato sulle tematiche di fine vita, con particolare riferimento al caso di Eluana Englaro e alla nuova legge sul testamento biologico, che è in discussione in parlamento. Qui di seguito propongo il contenuto di due delle slides presentate, in cui viene riportato il pensiero di un illustre teologo italiano, il prof. Vito Mancuso. Queste parole mi sembrano significative e meritevoli di riflessione da parte di tutti, in quanto costituiscono sicuramente un punto di partenza valido per qualunque discussione sul tema. Buona lettura!
“Il punto è ragionare laicamente. Qui non si tratta di etica, si tratta di diritto. Prendiamo coscienza che nella nostra società ormai convivono diverse concezioni del mondo e quindi diverse etiche. Il diritto, d’altra parte, non può che essere unico e valido per tutti. Allora è lecito decidere per sé, non per gli altri. Io personalmente sono contrario che si interrompa l’alimentazione ad Eluana, ma la tragedia nella tragedia si dà proprio per l’assenza di un documento giuridicamente valido che ci dica la sua volontà: non sappiamo come la pensi lei. Per questo c’è bisogno del testamento biologico come strumento di libertà. Ma che potrei fare da credente? Ciò che per me può essere edificante, avere un senso, per un altro magari è una tortura. L’etica, per definizione, non si impone. Dio ci ha voluto liberi, perché senza libertà non c’è amore. Penso a quello che disse il cardinale Carlo Maria Martini: <>.
E dove si dà questo principio di dignità se non nel rispetto delle convinzioni altrui?"

mercoledì 25 febbraio 2009

Ad esempio, la Martano-Soleto

L’Italia è un Paese dove è molto diffusa la cultura dell’illegalità. Altro che poeti, santi e navigatori, purtroppo siamo un paese di furbi, ipocriti e truffatori. Lo sport nazionale è scavalcare l’altro nella corsa verso il privilegio, anche se di bassa lega. In questo pessimo scenario, le istituzioni non aiutano certo ad un cambio di rotta. Chi ci governa, invece di prendere per mano i cittadini ed offrire loro dei degni modelli di riferimento, costruisce leggi adatte solo ad essere scavalcate, per poter incastrare gli inadempienti, ma solo al bisogno.
Ad esempio, sono sicuro che in pochi si sono accorti che il limite di velocità sulla Martano-Soleto è di 50 km/h. E di quelli che se ne sono accorti, quasi nessuno lo rispetta, ed il quasi non è riferito al personale appartenente alle forze dell'ordine (vigili, carabinieri, ecc.).
Questo è un piccolo esempio di come in Italia viene somministrato giornalmente il vaccino dell'illegalità. Violare nel poco, infatti, crea l'abitudine alla violazione, per cui, quando si viene pizzicati fuori dalle regole si esclama, con meraviglia e con stizza: ”Per così poco! Fanno tutti così”. E con questa motivazione giustifichiamo l'allargamento progressivo dei margini dell'illegalità, che ci portano a tacciare di giustizialismo chi vorrebbe riportare a livelli europei il rispetto delle regole. Se ci pensiamo bene, però, la parola giustizialismo non esiste. Esiste la giustizia o l'ingiustizia. Ciò che è giusto e ciò che non lo è. E solo rispetto a questa distinzione la magistratura giudica il nostro operato, interpretando le leggi. Il giustizialismo è una parola inventata da certa classe politica italiana, che cerca di difendersi, attaccando la magistratura e quanti auspicano un ritorno alla certezza della pena, uguale per tutti.
La stessa cosa riguarda le cinture di sicurezza. Quanti rappresentanti delle forze dell'ordine le allacciano? Eppure, per il beneficio che danno in termini di sicurezza, dovrebbero essere paragonate al casco per i motociclisti o al rispetto dei colori del semaforo. Invece niente. In città nessuno le allaccia e nessuno lo fa notare. E quando questo accade, visto l’andazzo, sorge sempre il sospetto che la multa sia stata fatta, non per un legittimo diritto da parte dell'esercente, ma più miseramente per arricchire le magre casse di comuni sempre sull'orlo della bancarotta.
Sono queste piccole cose che ci differenziano dal resto dell'Europa: la cultura dell'illegalità, la normalità di un popolo che viola con leggerezza le regole, a partire da chi invece dovrebbe farle rispettare. Ad esempio, tornando alla Martano-Soleto, è proprio impossibile stabilire un nuovo limite di velocità, più sensato, ed imporre ai cittadini di rispettarlo? (pubblicato su "Corte Grande", annoIV, n. 35, ottobre 2008)

martedì 24 febbraio 2009

Pensieri disperati (Gravina 05/06/06)

Per colpa della nostra inesperienza
abbiamo pianto e disperatamente abbiamo urlato.

Sapeste che paura il buio che ci avvolge
e freddo e mal di pancia
e lacrime che sgorgano dagli occhi.

Di certo sarà un dramma anche per voi
dovervi preoccupare di due bimbi
finiti per errore in un inferno.

Non preoccuparti che ti salvo io
vedrai, papà non saprà nulla a cose fatte,
vedrai che riusciremo a farla franca.

Potessi essere spiderman
arrampicando questo muro maledetto
fuori da questa trappola ti solleverei.

Perché non mi rispondi
perché non fanno più rumore i tuoi singhiozzi
non sento i tuoi lamenti
e tutto il mondo che mi gira intorno.

Fra poco verrà mamma
ed il suo caldo abbraccio
ogni piccolo dolore scioglierà.

Perché di colpo vedo tanta luce
e come blatte il buio si dilegua.

Tra poco verrà Dio
e allora tutto questo finirà.

lunedì 23 febbraio 2009

Storie di ordinaria democrazia

Nella lontana Repubblica Democratica delle Banane c’è l’Ospedale Sanabene, una grande e bella struttura, governata da un Direttore molto sensibile alle esigenze dei cittadini.
Un giorno, il Direttore passeggiava nervosamente su e giù per il suo ufficio e non riusciva a darsi pace per via di una notizia sbattuta in prima pagina su tutti i giornali: la lista d’attesa per l’effettuazione delle campimetrie si era allungata a dismisura e lui ora temeva un richiamo dal Governatore per questa palese inadempienza. Senza dimenticare la gente, ovviamente. Settimane di attesa. Che fare?
Pensa che ti ripensa, il Direttore decise di convocare esperti, collaboratori, consulenti, bisognava trovare una soluzione. Che in breve tempo fu trovata, e pensare che era lì, a portata di mano: bastava assumere una nuova ortottista. Così fu indetto un concorso pubblico e in men che non si dica una nuova persona fu assunta al lavoro. Ora, però, c’era un altro problema da risolvere: la presenza di una sola macchina per due persone. Come fare?
Il Direttore questa volta passeggiò più nervosamente del solito, facendo un tondo sul tappeto persiano e finalmente, anche questa volta, trovò la soluzione: una persona avrebbe lavorato di mattina ed una di pomeriggio, si sarebbero fatti dei turni lavorativi, l’unica macchina presente sarebbe stata sfruttata a pieno regime e le due persone avrebbero avuto un po’ di soldi in più in busta paga per la corresponsione dell’indennità di turno. Tutti contenti e problema risolto, dunque?
Neanche per sogno. Intervennero i sindacati, sollecitati dalle ortottiste, che evidentemente il pomeriggio dovevano attendere al secondo lavoro, probabilmente in nero. Ed obiettarono che l’indennità di turno avrebbe rappresentato un costo per un’operazione che era stata annunciata a costo zero per l’azienda e che se tale incongruenza non si fosse risolta ci sarebbe stata una denuncia alla Corte dei Conti ed eventualmente alla Procura della Repubblica. Il Direttore, che di grane proprio non voleva sentir parlare, annullò subito l’ordine e ritornò a passeggiare freneticamente in su e in giù nel suo ufficio.
Eureka! Nel Piccolo Ospedale del Comune Vicino c’era un altro campimetro, praticamente inutilizzato da quando il nuovo Piano Ospedaliero ne aveva notevolmente ridotto le attività. Con due campimetri tutt’e due le ortottiste avrebbero potuto lavorare al mattino e quindi anche le esigenze sindacali sarebbero state rispettate.
A questo punto intervenne la politica. Il Governatore, infatti, aveva emesso un editto, in base al quale nulla doveva essere spostato dal Piccolo Ospedale del Comune Vicino, per non dare alla popolazione l’idea che questo stesse chiudendo. Su quel punto era stata vinta una campagna elettorale e non si potevano deludere le aspettative degli elettori. Neanche una spilla si poteva muovere.
Una soluzione alternativa poteva essere il trasferimento di una delle due ortottiste presso il Piccolo Ospedale del Comune Vicino e dividere le prenotazioni fra i due ospedali. Ma al Direttore vennero i brividi al solo pensiero di scatenare una nuova guerra di potere con chissà quale altra istituzione.
Alla fine, con senso delle istituzioni e una buona dose di coraggio, decise che l’unica soluzione possibile era lasciare le cose come stavano: due persone si sarebbero alternate, al mattino, nell’utilizzo di una sola macchina.
A fine anno, redasse una relazione dicendo che, con l’assunzione di una nuova ortottista, si erano ridotte le liste d’attesa, in quanto erano stati eliminati i periodi di vuoto dovuti alle normali assenze del personale. Il primario oculista propose addirittura un progetto obiettivo sulla futura, ulteriore riduzione delle liste di attesa. I sindacati non ebbero nulla da eccepire sull’impiego delle risorse pubbliche. I politici riuscirono a dimostrare alla gente che il loro intervento era stato salutare. I giornali fecero un bell’articolo sull’efficienza dell’ospedale Sanabene e sulle capacità amministrative del suo Direttore.
E i cittadini che, grazie alle schermaglie della stampa, erano riusciti appena ad intuire ciò che era successo? Continuarono a fare la fila per una campimetria, a comprare i giornali, perché bene o male bisogna aggiornarsi, a rimanere iscritti al sindacato, perché ce n’è sempre bisogno, e a partecipare numerosi alle elezioni, perché i politici prima o poi un favore te lo fanno. (pubblicato su "Corte Grande, anno V, n. 38)

domenica 22 febbraio 2009

Da un vecchio discorso di Paolo Borsellino

Navigando, ho letto questo discorso di Paolo Borsellino, mi è sembrato giusto riproporvelo. Aiuta a capire tanti aspetti dell'attuale politica italiana. Soprattutto se si aggiunge al termine mafia, anche quello di corruzione, malaffare, ecc. e poi si fa il confronto fra quello che succede fuori dai nostri confini e quello che succede con i politici del nostro Paese. Buona lettura!
« L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati. »(Paolo Borsellino, Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa 26/01/1989)

sabato 21 febbraio 2009

Andando a scuola

Andando a scuola i nostri ragazzi possono usufruire di un contatto quotidiano con bestemmie, parolacce, risse, minacce, scritte indicibili sui muri e video da codice penale.
Si potrebbe obiettare che anche ai nostri tempi le cose non erano poi così diverse, se si esclude la presenza dei telefonini, ma mi permetto di ribattere che il mondo degli scapestrati di allora si muoveva in un contesto ambientale diverso. Oggi il livello medio di maleducazione è notevolmente più elevato. Noi non abbiamo mai mandato a quel paese i nostri genitori o i nostri nonni. Per non parlare delle punizioni. A mollargli un sano ceffone, si rischia di ricevere una chiara minaccia di denuncia.
Non stiamo vivendo una realtà facile. Sempre di più i ragazzi di oggi sono carne da cannone per pubblicitari senza scrupoli. “Chiangiti vagnuni ca la mamma vi lu ‘ccatta”, quello che era un simpatico slogan d’altri tempi, sta diventando un imperativo categorico per piccoli dittatori, che i genitori non riescono quasi più a controllare. Ormai si preferisce discutere con gli insegnanti, o addirittura con le forze dell’ordine, piuttosto che affrontare a muso duro questi piccoli prepotenti, che non devono mai apparire inferiori ai loro compagni.
Naturalmente la televisione si guarda bene dal sottolineare che in America, come anche in Europa, è sempre più diffusa l’esigenza di portare il proprio figlio dallo psicanalista. Non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che i soggetti più “irrequieti” vengono imbottiti di psicofarmaci, per sopperire alle carenze educative.
Forse è giunto il momento di mettere un po’ ordine nelle nostre famiglie. È ora di finirla con genitori che pensano più ad apparire che a comunicare con i propri figli. Il risultato è una società decadente, dove la famiglia troppo spesso è solo un involucro formale, privo di anima, di sofferenza, di discussione, della capacità di crescere insieme. È urgente ristabilire la verticalità dei rapporti, in cui uno detta le regole e l’altro le rispetta. È importante cominciare a dire qualche “no”, creare nei nostri figli una sana frustrazione, che possa essere educativa e permetta loro di fronteggiare serenamente le difficoltà, quelle vere, della vita. Da parte delle istituzioni, infine, può essere utile coinvolgere anche i genitori nelle sanzioni, anche detentive, nei casi che lo prevedono, per atti vandalici perpetrati da minorenni; è ora di finirla con frasi del tipo “non immaginavo”, “in fondo è sempre stato un bravo ragazzo”. Responsabilizzare ambedue le figure, può giocare un ruolo determinante nel rapporto genitori-figli.

venerdì 20 febbraio 2009

Lettera aperta al Sindaco

Egregio signor Sindaco,
Le scrivo per chiederle di avviare le procedure che portino a far installare, all’ingresso della nostra cittadina, il cartello “Comune denuclearizzato”.
Questa richiesta potrebbe apparire l’inutile formalizzazione di un sentimento neanche più tanto diffuso nella popolazione. D’altra parte vi è una martellante propaganda sui media nazionali, favorevole al nucleare, accompagnata dal silenzio pressocché generale dei cittadini e delle associazioni impegnate nei vari settori di rappresentanza.
Nel mio piccolo, però, io continuo a credere che la gente le centrali nucleari non le voglia e non solo perché oltre vent’anni fa c’è stato un referendum stravinto dal fronte del no. Quel referendum ormai non ha più valore, bisognerebbe farne un altro. Io credo, invece, che la gente sia contraria perché anche quelli che si dichiarano favorevoli non vorrebbero una centrale nucleare “nel proprio giardino”.
L’efficacia delle centrali nucleari è stata poi molto ridimensionata dal premio nobel per la fisica, Carlo Rubbia, un uomo costretto dai politici nazionali ad emigrare in Spagna per poter portare avanti le sue ricerche sullo sfruttamento dell’energia solare. Pensi che per avere un quantitativo di energia nucleare, pari al 30% di quella necessaria al fabbisogno nazionale, bisognerebbe costruire almeno 20 centrali in tutta Italia, una per ogni regione. Bisognerebbe chiedere finanziamenti alle banche con l’ipotesi di farli rientrare non prima di 40-50 anni. Bisognerebbe infine smaltire le scorie, che non è una questione da poco se si pensa al problema che è diventato lo smaltimento dei rifiuti in Italia. Senza contare che l’Italia è una nazione ad alto rischio sismico, per cui i siti idonei saranno quelli, come il Salento, che presentano una probabilità molto remota che vi si possa verificare un terremoto.
Allora, signor sindaco, dichiariamoci contrari, cominciamo noi. Poi quest’idea si può portare in sede di Grecìa Salentina, si può gettare un seme nella Provincia, nel Grande Salento e nella Regione. Già, anche nella Regione. Sono sicuro che anche lì troverà persone che comprenderanno il messaggio, visto che l’attuale governatore ha pubblicamente dichiarato che, per quel che riguarda l’energia, la Puglia ha già dato e semmai è in credito, non in debito.
Godiamoci senza paure la presenza delle pale eoliche, anche se a tratti impediscono di allungare la vista verso il mare. Promuova l’installazione dei pannelli solari sulle terrazze delle nostre abitazioni. Il sole e il vento, da queste parti, li conosciamo bene.
E soprattutto, signor sindaco, la prego, avvii le procedure per la installazione del cartello “Comune denuclearizzato”. Sarebbe il miglior biglietto da visita per turisti ed avventori. (pubblicato su "Corte Grande, periodico di informazione martanese, a distribuzione gratuita, anno IV, n. 33, giugno 2008)

giovedì 19 febbraio 2009

Fiori nel deserto

Il 4 marzo dello scorso anno è morta a Roma Augusta Lagostena Bassi, più conosciuta come Tina. Avvocato, celebre per aver difeso i diritti di Donatella Colasanti contro Angelo Izzo nel famoso processo sul Massacro del Circeo. Una delle socie fondatrici del Telefono Rosa, dal 1994 al 1995 ha ricoperto il ruolo di Presidente della Commissione per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nella XII legislatura è stata eletta deputato nelle file di Forza Italia. Membro della Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati e coautrice, nel 1996, della legge contro la violenza sessuale, che rappresenta una svolta determinante nel settore delle violenze alle donne. Per la prima volta, infatti, lo stupro non è più considerato un reato contro la morale, ma diventa un reato contro la persona. Ma i più la conoscevano per le sue apparizioni televisive, tra le quali, le più importanti, quelle al fianco del giudice Santi Licheri, nel programma Forum.
Pochi giorni prima, il 22 gennaio 2008 era morto a Ravenna il senatore Arrigo Boldrini. Durante la Resistenza in Romagna, le sue spiccate capacità di stratega e la teorizzazione della "pianurizzazione" della guerra partigiana (fino ad allora immaginata possibile solo sulle colline o sulle montagne) gli valsero il soprannome di Bulow, in ricordo del famoso conte. Medaglia d’oro al valor militare, fu Segretario Nazionale e poi presidente onorario dell' A. N. P. I. Membro dell'Assemblea Costituente, venne eletto in più legislature nelle fila del PCI. Nel 1989 ha aderito al PDS e successivamente al Partito Democratico. Di lui ci rimane, nelle parole e nei fatti, un grande insegnamento morale: "Quando sei amministratore pubblico devi sempre agire nell'interesse dei cittadini che ti hanno eletto e che hanno avuto fiducia in te. Se per un solo attimo, mentre svolgi il tuo ruolo di rappresentante delle Istituzioni, senti di fare qualcosa per interesse tuo personale, abbandona tutto subito, perché quello non sarà più il tuo posto".
Queste persone hanno lottato per i diritti dei cittadini e per la libertà, una parola, quest’ultima, troppo spesso abusata dalla politica nazionale: dalla Margherita (Democrazia e Libertà), dalla Rosa Bianca (Libertà e Solidarietà), da Forza Italia (prima Casa delle Libertà, poi Popolo della Libertà). Tutta questa ostentazione mi fa pensare ad uno sforzo, da parte di tutte le forze politiche nazionali, di volerci convincere, senza che nessuno gli abbia chiesto nulla, che sono portatori di libertà.
Quella stessa che ci stanno silenziosamente sottraendo.
(già pubblicato su “Polis-crescita democratica”, anno 2, n. 5, agosto 2008).

mercoledì 18 febbraio 2009

Cogliere un fiore

Di te solevo dire ch’eri bella
e il tempo andava ed io non mi accorgevo
che, sì, eri davvero bella,
dolcissimi i dettagli del tuo viso
e chiome mogano ed esili occhialetti
a condire l’incantevole sorriso.

E il tempo corre e ancora non m’accorgo
che può seccare un fiore ch’è reciso
ma può sfiorire, se non viene colto,
un fiore profumato e il tuo sorriso.

martedì 17 febbraio 2009

La realtà delle cose

(questo articolo è stato pubblicato da "Corte Grande", periodico a distribuzione gratuita locale, nel dicembre 2008. Viene qui ripreso per lasciare una memoria della vicenda Englaro)
Eluana Englaro da molto tempo non è più quella bella ragazza che ci regala un sorriso solare dalle foto di telegiornali e riviste. Gli occhi della giovane, oggi 38enne, come racconta Tempo Medico, si aprono e si chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma non vedono. Le labbra sono scosse da un tremore continuo, gli arti tesi in uno spasimo e i piedi in posizione equina (protesi rigidamente verso il basso). Una cannula attraversando il naso le porta il nutrimento allo stomaco. Ogni mattina gli infermieri le lavano il viso e il corpo con spugnature. Un clistere le libera l’intestino. Ogni due ore la girano nel letto per evitare l'insorgere di ulcere da decubito. Una volta al giorno la mettono su una sedia con schienale ribaltabile, stando attenti che non cada in avanti. Poi di nuovo a letto. Le vengono quotidianamente somministrati farmaci antiepilettici, perché il rischio di epilessia è altissimo in chi ha ricevuto un trauma cranico importante e nel suo caso sarebbe micidiale. Le vengono poi somministrati farmaci antitrombotici, per evitare che il formarsi di coaguli porti ad una embolia polmonare massiva, causando la morte per asfissia. Al bisogno le vengono somministrati antibiotici perché anche lei è soggetta, come tutti noi, ad infezioni periodiche. E tutto questo dura da quasi 17 anni, più precisamente dal 18 gennaio 1992, giorno del suo incidente.
Ciascuno di noi può fare un piccolo esercizio di memoria per ricordare qual'era la propria situazione familiare o sociale dell'epoca. Proviamo ora ad immaginare cosa possa significare questo lasso di tempo per un genitore che è costretto a confrontarsi quotidianamente con un figlio la cui mente è sospesa tra una non-vita ed una non-morte e il cui corpo è deliberatamente violato contro la sua espressa volontà. Chiunque decide, parla, pensa, sulla sua triste vicenda deve necessariamente aver presente questa realtà.
Ad aggravare tutto, poi, se ce ne fosse ancora bisogno, è il dramma di un vuoto legislativo che non può più aspettare di essere colmato. Vi sono tante ipotesi sul tappeto, anche dall’interno della Chiesa c’è chi ritiene giusta una legge sul testamento biologico, da più parti si chiede una norma che sancisca il diritto all’autodeterminazione del singolo. Ma nel frattempo più di tremila persone sono in attesa di una norma adeguata ai continui progressi della scienza medica. Intanto all’orizzonte mediatico si è già affacciato un nuovo caso: Paolo Ravasin ha già steso il proprio testamento ed è in attesa che la natura faccia il proprio inesorabile corso. E che le istituzioni, da parte loro, facciano il proprio.

lunedì 16 febbraio 2009

Benvenuti nell’era della paura

Tutto cominciò nel 1999, quando venne fuori il baco del millennio, secondo il quale tutti i computer avrebbero dovuto impazzire. E giù spese folli per prevenire il disastro. Nel 2003 l’arrivo della SARS, la polmonite di origine asiatica, avrebbe dovuto provocare un’ecatombe, invece ha solo fatto intascare laute parcelle a esperti, commentatori e così via elencando. E l’aviaria, chi se la ricorda più? L’influenza trasmessa dagli uccelli avrebbe dovuto far impallidire le piaghe d’Egitto, ma è solo riuscita a far andare in crisi il mercato della carne aviaria e dei suoi derivati, garantendo lauti guadagni ai piazzisti di vaccini e farmaci antivirali di dubbia utilità. Infine i cambiamenti climatici tanto propagandati, ma per i quali nessuno muove un dito. Delle due l’una: o i politici del mondo sono degli incoscienti, troppo legati ai poteri forti, oppure le cose non sono come ci vengono prospettate. Magari la verità sta in un equilibrio ragionevole tra le due ipotesi. Infine è recentissima la paura che sta travolgendo intere popolazioni e mercati finanziari per la terribile crisi economica.
Queste notizie hanno il comune denominatore di generare insicurezza nella gente comune. Proviamo a capire il perché.
L’informazione del nostro tempo è fatta di spot, di titoloni. È raro vedere una persona leggere fino in fondo un articolo, non parliamo poi dei libri. Tutti corriamo verso mille impegni inutili, nessuno si ferma a riflettere, nessuno vuole approfondire. Pendiamo dalle labbra di pochi strilloni che orientano gli umori delle persone, speculando sull’inerzia generale. Come accade nelle dittature, più o meno mascherate, si è venuto a creare una sorta di circolo vizioso, in cui centri di potere forti producono volutamente disinformazione, da questa scaturisce l’ignoranza, la quale genera paura. E la paura, ovunque presente, non fa che rafforzare il potere.
Lo sforzo che tutti dovremmo fare, per spezzare questa catena, è quello di riservare sempre un posto privilegiato alla buona informazione, per avere sempre la piena conoscenza dei fatti e riprenderci la libertà che da troppo tempo ormai ci viene silenziosamente sottratta. Chi si asterrà da questo sacrificio necessario è destinato ad essere preda del sentimento degli ignoranti: la paura.(pubblicato su “Polis Crescita democratica, periodico a distribuzione gratuita in Martano (LE), nel Marzo 2008)

domenica 15 febbraio 2009

Pannolini, chi l’avrebbe mai detto …!

I comunissimi pannolini usa e getta per bambini sono costituiti in gran parte da materiale plastico ed inquinano pesantemente l'ambiente già dalla loro produzione. Infatti, recenti dati sul consumo mondiale di materie prime rivelano che per produrre 18 miliardi di pannolini di plastica si utilizzano ben 3,5 miliardi di galloni di olio, 82.000 tonnellate di plastica e 1,3 milioni di tonnellate di polpa di legno. La produzione, poi, elimina nell’acqua solventi, metalli pesanti, polimeri, diossine e furani. Vengono abitualmente sbiancati con il cloro. Infine, una volta prodotti ed utilizzati, necessitano di circa 500 (!) anni per decomporsi.
Il Regno Unito spende ogni anno 893 milioni di euro per acquistare pannolini usa e getta, più 60 mln per smaltirli in discarica o incenerirli. Secondo una ricerca dell'Università di Kiel (Germania) vengono impiegati, annualmente, per ogni bimbo, 28 metri cubi d'acqua di scarico, 208 chilogrammi di materie prime non rinnovabili, 361 chilogrammi di materie prime rinnovabili ed una superficie di terreno pari a 29.500-32.300 ettari; 8.900 megajoule se ne vanno invece in energia.
Ogni giorno in Italia si usano almeno sei milioni di pannolini usa e getta che, in un anno, significa 2 miliardi e 190 milioni di pannolini di plastica. Il "contributo" da parte dei singoli bambini (forse sarebbe più opportuno dire dei loro genitori) è di circa 1 tonnellata al compimento del terzo anno (circa 4500-5000 pannolini). Bisogna anche prendere in considerazione il rischio igienico legato allo smaltimento di questo tipo di rifiuti, dato che quasi nessuno segue la regola di pulire il pannolino dal suo contenuto solido prima di gettarlo (forse perché questo sensato consiglio ridurrebbe di molto la comodità dell'usa e getta). L’accumulo di rifiuti organici (urine e feci) in situazioni spesso non predisposte al loro smaltimento crea forti rischi di contaminazione.
I pannolini "usa e getta" rappresentano una manna solo per chi li produce e per chi gestisce discariche ed inceneritori, ma non lo sono di certo per la nostra salute, l'ambiente e le nostre tasche. Ma l'alternativa è possibile.
Esistono infatti in commercio, nel silenzio generale dei mezzi di informazione, i pannolini riutilizzabili. Questi ultimi, infatti, sono migliorati drasticamente negli ultimi anni, e sono molto meno costosi per i genitori di quelli usa e getta. Ma molti non ne sono ancora consapevoli. Proviamo a fornire due cifre (ancora!!!).
L’uso di pannolini riutilizzabili, comporta un utilizzo dei suoli fino a 30 volte inferiore, un consumo di acqua dal 37 al 50 % in meno, un ottavo di materie prime non rinnovabili, un quantitativo 90 volte inferiore di materie prime rinnovabili ed un terzo dell’energia necessaria a produrre i pannolini usa e getta (da una ricerca svolta dall’Università di Vienna nel 1992 risulta addirittura che l’energia utilizzata per la produzione di pannolini usa e getta è maggiore di oltre il 70%).
Come detto, nei primi tre anni di vita, per gestire i bisogni fisiologici dei nostri piccoli, se si utilizzano pannolini usa e getta, si produce all’incirca una tonnellata di rifiuti non riciclabili; tenendo presente che nel nostro comune nascono mediamente 100 bambini per anno, la produzione di rifiuti ammonta a circa 33 tonnellate, a fronte di una produzione di soli 400-600 kg che si avrebbe se si usassero pannolini riutilizzabili.
Ogni confezione di pannolini “usa e getta” ne contiene mediamente 40, per una spesa di circa 10 euro. Considerando di usare almeno un pacco a settimana, si spendono circa 40 euro mensili, il che vuol dire quasi 500 euro l'anno. Infine, è stato ipotizzato da qualcuno che l’innalzamento dell’età di passaggio dal pannolino alla mutandina, cui si è assistito negli ultimi anni, sia causato dai gel superassorbenti presenti nei pannolini usa e getta che, limitando la sensazione di bagnato, renderebbero più difficile al bambino la comprensione delle sensazioni fisiche legate al farsi la pipì addosso.
Cosa fare: da parte del Comune potrebbe essere istituito un bonus incentivante per le famiglie dei nuovi nati, finalizzato all’acquisto di pannolini riutilizzabili, attraverso una convenzione con i negozianti della zona e magari una campagna di sensibilizzazione. Tale iniziativa, che è già stata intrapresa da altri comuni italiani, permetterebbe addirittura di portare ossigeno alle casse comunali, attraverso un congruo risparmio sullo smaltimento dei rifiuti. Per non dire della gioia dei contribuenti e, più in generale, per l’ambiente, con un sensibile beneficio sull’igiene e sull’ ”educazione” dei nostri bambini. (pubblicato su “Città Attiva”, periodico d’informazione gratuito a cura dell’associazione Città Futura di Martano (LE), il 09/02/2008)

sabato 14 febbraio 2009

Due parole su donazioni e trapianti d'organo

Il tema trattato assume particolare importanza se si pensa che attraverso un trapianto è possibile salvare e migliorare la qualità della vita di molti pazienti, ed è l’unica terapia per alcune malattie.
I trapiantati dopo essere stati gravemente ammalati e, spesso, vicini alla morte, riprendono a vivere: lavorare, viaggiare, fare sport; i soggetti in età fertile possono avere figli.
Da quanto detto si capisce l’importanza della donazione, perché è chiaro che se c’è un ricevente ci deve essere anche un donatore. È anche chiaro che chi volesse orientarsi nella scelta di essere o meno un potenziale donatore, prima di pervenire ad ogni decisione in merito, è giusto che abbia quante più informazioni possibili, per poter scegliere con la dovuta serenità.
Di getto, verrebbe da dire che c’è poco da scegliere, la donazione è un atto di umanità, che non costa nulla, ammesso anche dalla chiesa cattolica e quindi tutti dovremmo essere, senza pensarci più di tanto, dei potenziali donatori.
Ma detto questo, bisogna anche dire che il dubbio è insito nella natura umana, la curiosità pure, quindi le spiegazioni e le informazioni devono essere date nella maniera più completa e chiara possibile perché gli scettici e i denigratori, nonché gli autori delle anzidette leggende metropolitane, sono tanti e difficili da convincere.
La normativa che regola la donazione e il trapianto è la legge 91/99. In particolare, l’articolo 8 istituisce il Centro Nazionale Trapianti, organo tecnico del Ministero della Salute, con sede presso l’Istituto Superiore di Sanità, che svolge importanti funzioni, fra cui: tenere la lista delle persone in attesa di trapianto in modo da assicurare la disponibilità di tali dati 24 ore su 24, individuare i criteri per l’assegnazione degli organi, definire i parametri per la verifica di qualità e di risultato delle strutture per i trapianti.
La dichiarazione della volontà di donare gli organi è regolamentata dal decreto ministeriale dell'8 aprile 2000 e dalla legge n.91 del 1 aprile 1999 che introduce il principio del silenzio assenso.
Tale principio non è ancora in vigore. In questa fase transitoria, prima dell'applicazione del silenzio - assenso, la manifestazione della volontà è regolamentata dall'art. 23 della stessa legge - principio del consenso o del dissenso esplicito: a tutti i cittadini viene data la possibilità (non l'obbligo) di esprimere la propria volontà in merito alla donazione dei propri organi.
Attualmente le possibilità per esprimere la volontà sono le seguenti:
- una dichiarazione scritta che il cittadino porta con sé con i propri documenti.
- la registrazione della propria volontà presso la AUSL di riferimento o il medico di famiglia
- la compilazione del tesserino blu inviato dal Ministero della Sanità nel maggio del 2000 che deve essere conservato insieme ai documenti personali
- l'atto olografo o la tessera dell'AIDO o di una delle altre associazioni di volontariato o di pazienti. In caso di morte, le situazioni che si possono verificare sono tre:
- il cittadino ha espresso la volontà positiva alla donazione: i familiari non possono opporsi
- il cittadino ha espresso volontà negativa alla donazione: non c'è prelievo di organi
- il cittadino non si è espresso: il prelievo è consentito se i familiari non si oppongono (hanno diritto ad esprimersi, nell'ordine, il coniuge non separato o convivente more uxorio, figli maggiorenni, genitori).

giovedì 12 febbraio 2009

Ho comprato il biglietto

Ho pensato di avviare un blog.
Scrivo da tempo su periodici a diffusione gratuita locale, mi piace scrivere, ho anche scritto un libro, ma sentivo il bisogno di un confronto più diretto, di qualcuno che mi dicesse dove sbaglio. Qualcuno che non fosse la solita cerchia di amici, che ormai ha imparato a conoscere il mio modo di scrivere e quindi, per abitudine, lo apprezza.
Così, anche sulla scorta di altre persone che conosco, mi sono finalmente deciso. Certo, entrerò anch'io nel mare magnum della rete, e sicuramente rischio di dovermi ricredere su tante illusioni. Mi rendo anche conto che forse, tra qualche tempo, potrei decidere che questa decisione non fa per me, ma un vecchio detto, che da tempo ho fatto mio, dice che se tu il biglietto non lo compri, sicuramente non vinci. Così ho deciso di comprare il biglietto.
Non so cosa mi aspetto da questa nuova avventura. Sicuramente un arricchimento culturale, aprire un pò la mia mente, magari conoscere nuova gente. Poi vedremo, tutto ciò che verrà in più sarà gradito, tutto ciò che non si realizzerà andrà ad arricchire l'archivio delle delusioni. Ma potrò dire di averci provato.