"Non bisogna solo essere onesti, ma apparire onesti. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! [...] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!”. (Paolo Borsellino)

martedì 27 settembre 2011

Separazione, immunità e abusi di potere

Credo che in una democrazia i poteri debbano essere rigidamente separati, per evitarne un inopportuno accumulo che a sua volta genererebbe una confusione di ruoli. Così, non mi va bene che i ministri prendano parte anche ai lavori parlamentari, con le relative doppie indennità, non mi va bene che magistrati che sono stati politici tornino a fare i magistrati; sarebbe come se un arbitro facesse l'attaccante di una squadra e poi tornasse ad arbitrare, non sarebbe più credibile e verrebbe messa in discussione anche la sua precedente attività. Non è opportuno avere un politco che è anche editore perché si confonederebbe il potere legislativo, esecutivo ed informativo. Non va bene che il potere religioso intervenga a gamba tesa nelle questioni legislative e politiche di una nazione, compromettendone inesorabilmente la laicità. Non va bene tutto questo e ce lo siamo detto molte volte, così tante che alla fine è diventato ormai inutile parlare di conflitto di interessi.

La separazione dei poteri deve essere accompagnata dalla tutela di questi da un cieco populismo. Così è giusto che vi sia una certa tutela dei politici per reati legati al loro lavoro, una uguale tutela dei magistrati per errori legati al loro lavoro, la stessa cosa vale per i giornalisti e per i ministri del culto. Tutti i centri di potere devono poter essere tutelati per evitare che possano svolgere il loro lavoro senza la dovuta serenità. Accanto a questo, però, deve esistere un meccanismo di controllo interno che limiti questa tutela ai casi strettamente necessari ed eviti gli abusi.

Detto questo, non si capisce perché vi è un accanimento nei confronti dei magistrati che, non solo hanno un organo interno di autoregolamentazione che, mi risulta, funziona come e meglio che in altre nazioni, ma hanno anche una legge che punisce i reati di dolo e colpa grave, seppure attraverso il filtro dello Stato. La stessa cosa non avviene per i politici che, pur avendo un organismo interno di controllo, il Parlamento, abusano spesso di questa possibilità, tanto è vero che nell'Italia republicana solo una volta è stata data l'autorizzazione all'arresto di un parlamentare, l'onorevole Papa. Non si capisce quindi perché si grida sempre contro lo strapotere dei magistrati, quando per i politici, i religiosi ed i giornalisti ci si comporta esattamente nella stessa maniera. Infine non si capisce perché non si possa, non dico arrestare un politico, ma nemmeno escluderlo dall'attività di governo, come nel caso della prossima votazione sul ministro Romano, anche se è imputato, e quindi fortemente sospettato, per fatti di mafia.

martedì 6 settembre 2011

Non c'è due senza tre.

Il primo colpo l'hanno battuto i napoletani e, soprattutto, i milanesi, quando gli è stato chiesto di mandare a quel paese i candidati dei maggiori partiti di destra e di sinistra, facendo capire a chi ci rappresenta che l'era delle favole dei partiti fotocopia, mascherati da fazioni opposte, era finita. In quell'occasione sono diventati sindaci De Magistris e Pisapia i quali, pur con i loro limiti, rappresentavano il cuore dell'intolleranza di un elettato che non ne poteva più di essere amministrato dalla cattiva politica o, meglio, dai cattivi politici. Certo, non si poteva pretendere che al primo colpo vincesse Grillo ma, per chi voleva sentire, il colpo era già abbastanza forte e chiaro.

Niente da fare. Si è andati avanti come se nulla fosse accaduto. Così, nonostante i tentativi di affossamento, si è arrivati ai referendum di giugno. Le televisioni hanno latitato, nessuna publicità, nessun chiarimento, solo alcuni scarni spot, centellinati in orari proibitivi ed alternati con uno decisamente allusivo e fuorviante sulle centrali nucleari. Ora io non voglio entrare nel merito del torto o della ragione dei si o dei no, non credo che sia quella la vittoria, perché ognuno può a ben diritto avere le sue ragioni e pretendere di essere depositario della verità. La vera vittoria è stata obiettivamente la lezione di democrazia a chi aveva fatto suonare anzitempo le campane a morto dell'istituto referendario. E poi, manco a dirlo, il secondo colpo per i nostri governanti che erano stati sordi al primo richiamo.

Anche questa volta niente, tutto come prima e, se possibile, peggio di prima. Scandali, tangenti, ruberie, proclami e promesse di un futuro migliore. Come se l'Europa non ci fosse, la crisi fosse ancora nel paese delle meraviglie, mentre il nostro fosse ancora e per sempre il paese del bengodi.

Nel frattempo è giunta l'estate, è stata tirata giù in fretta e furia una finanziaria della serie spendi oggi e paghi domani. L'Europa non è stata soddisfatta ed ha preteso soldi veri subito, ma noi niente finché si sono infuriati i mercati che ci hanno fatto perdere in pochi giorni una fetta significativa della nostra falsa finanziaria. Le televisioni hanno continuato a latitare, non uno speciale, uno straccio di talk show, qualcuno che spiegasse, al di fuori dei soliti palinsesti estivi, come stavano le cose. I nostri politici hanno fatto finta di non andare in ferie e, con le mani sulla carta ma evidentemente il cervello sulla spiaggia, hanno tirato giù un'altra finanziaria, alla cui presentazione in senato erano presenti undici senatori e quattro sciacquini. Al loro ritorno hanno preso a litigare su quale doveva essere l'amico da tutelare, cambiando ogni cinque minuti i contenuti della manovra ed attaccando sistematicamente l'opposizione che non collaborava. A questo punto, non c'è due senza tre è arrivato, fresco di giornata, il terzo colpo. La CGIL ha riempito le piazze d'Italia, si sono accodati i partiti d'opposizione del centro sinistra. La gente, per la terza volta, dice basta. Basta alle bugie, basta ai privilegi, basta allo sbando di un governo che non riesce più a governare perché sommerso da ricatti dall'interno e dall'esterno, basta con la mancanza di una direttiva, di una decisione sulla rotta da intraprendere. L'attuale presidente del condiglio era stato scelto, come altri suoi predecessori, perché rappresentava l'uomo della provvidenza e, a torto e a ragione, veniva considerato l'uomo adatto a dare al popolo italiano una direzione inequivocabile. Ora che tutto questo non c'è più e l'infatuazione è passata la gente non lo sopporta più. Lo capiranno questa volta i nostri politici o sono così tardoni da avere bisogno di un quarto colpo?