"Non bisogna solo essere onesti, ma apparire onesti. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! [...] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!”. (Paolo Borsellino)

martedì 17 febbraio 2009

La realtà delle cose

(questo articolo è stato pubblicato da "Corte Grande", periodico a distribuzione gratuita locale, nel dicembre 2008. Viene qui ripreso per lasciare una memoria della vicenda Englaro)
Eluana Englaro da molto tempo non è più quella bella ragazza che ci regala un sorriso solare dalle foto di telegiornali e riviste. Gli occhi della giovane, oggi 38enne, come racconta Tempo Medico, si aprono e si chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma non vedono. Le labbra sono scosse da un tremore continuo, gli arti tesi in uno spasimo e i piedi in posizione equina (protesi rigidamente verso il basso). Una cannula attraversando il naso le porta il nutrimento allo stomaco. Ogni mattina gli infermieri le lavano il viso e il corpo con spugnature. Un clistere le libera l’intestino. Ogni due ore la girano nel letto per evitare l'insorgere di ulcere da decubito. Una volta al giorno la mettono su una sedia con schienale ribaltabile, stando attenti che non cada in avanti. Poi di nuovo a letto. Le vengono quotidianamente somministrati farmaci antiepilettici, perché il rischio di epilessia è altissimo in chi ha ricevuto un trauma cranico importante e nel suo caso sarebbe micidiale. Le vengono poi somministrati farmaci antitrombotici, per evitare che il formarsi di coaguli porti ad una embolia polmonare massiva, causando la morte per asfissia. Al bisogno le vengono somministrati antibiotici perché anche lei è soggetta, come tutti noi, ad infezioni periodiche. E tutto questo dura da quasi 17 anni, più precisamente dal 18 gennaio 1992, giorno del suo incidente.
Ciascuno di noi può fare un piccolo esercizio di memoria per ricordare qual'era la propria situazione familiare o sociale dell'epoca. Proviamo ora ad immaginare cosa possa significare questo lasso di tempo per un genitore che è costretto a confrontarsi quotidianamente con un figlio la cui mente è sospesa tra una non-vita ed una non-morte e il cui corpo è deliberatamente violato contro la sua espressa volontà. Chiunque decide, parla, pensa, sulla sua triste vicenda deve necessariamente aver presente questa realtà.
Ad aggravare tutto, poi, se ce ne fosse ancora bisogno, è il dramma di un vuoto legislativo che non può più aspettare di essere colmato. Vi sono tante ipotesi sul tappeto, anche dall’interno della Chiesa c’è chi ritiene giusta una legge sul testamento biologico, da più parti si chiede una norma che sancisca il diritto all’autodeterminazione del singolo. Ma nel frattempo più di tremila persone sono in attesa di una norma adeguata ai continui progressi della scienza medica. Intanto all’orizzonte mediatico si è già affacciato un nuovo caso: Paolo Ravasin ha già steso il proprio testamento ed è in attesa che la natura faccia il proprio inesorabile corso. E che le istituzioni, da parte loro, facciano il proprio.

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