C’è una guerra silenziosa che si combatte nel mondo. Una guerra di cui, in Italia, si parla sempre meno. E quando se ne parla è solo per opportunità politica, non per risolvere veramente il problema. O i problemi, visto che si tratta di una realtà certamente complessa. Sto parlando dei morti sul lavoro, le cosiddette morti bianche, così chiamate in quanto apparentemente senza responsabili, senza un padre ma con molti figli: le vittime quotidiane.
Si è calcolato che, in un’ora di lavoro, avvengono circa 360 incidenti. Nel complesso gli incidenti sul lavoro sono circa un milione l'anno e i morti più di mille. La statistica, nel 2008, parla di una media di tre morti al giorno per infortunio sul lavoro (compresi i festivi) ed è comunque sottostimata. Mancano quei lavoratori, non solo immigrati, che non sono registrati come tali. E muoiono anche altri lavoratori, vittime di esposizioni ad agenti cancerogeni e tossici che quasi mai, o con grande fatica, riescono a dimostrare che la causa della loro morte è il lavoro. Il settore con più vittime in assoluto è l’agricoltura con una percentuale del 26,7% e, in quest’ambito, nella quasi totalità dei casi si è trattato di incidenti col trattore. Segue il settore dell’edilizia con il 20,06%, quindi l’industria con il 18,83% di vittime.
In Germania, nel 1995 le vittime erano state 1500, duecento più di quelle italiane. Oggi sono scese a 804 unità, ben il 48,3 % in meno, quasi la metà. Questi numeri ci dimostrano come non si tratti di un fenomeno occasionale e relegato a situazioni straordinarie, ma piuttosto un effetto perverso, che sembra profondamente legato al nostro sistema di produzione e quindi, per larga parte, potenzialmente risolvibile.
Ma le morti sul lavoro non sono il solo problema, numerosi sono anche i casi di lavoratori che, a seguito d’incidenti, si sono ritrovati menomati o con ridotte capacità lavorative: privi di un occhio, con i timpani rotti dal rumore incessante delle macchine, avvelenati per l’inalazione di prodotti tossici usati durante la lavorazione, con le mani tagliate dagli arnesi utilizzati, con artrosi dovute agli sforzi sostenuti, con ustioni provocate dal contratto con varie fonti di calore, paralizzati agli arti, ecc. In totale, nel 2008, gli invalidi per causa di lavoro sono stati oltre 26.000.
Sono delitti che non sempre possono essere imputati alla fatalità, ma sono spesso riconducibili a cause ben precise, come la carenza o, più spesso, l’inosservanza di norme che vincolano le imprese, pubbliche e private, a prevenire la possibilità d’incidenti. Purtroppo in Italia solo alcune di queste norme sono applicate e rispettate, non solo dai datori di lavoro. Vi è poi il problema dei controlli, che spesso latitano, viste le incertezze e la ritrosia degli stessi organi istituzionali e delle imprese, tutti preoccupati dalla possibilità di portare all’attenzione pubblica, tante situazioni di lavoro sommerso, ancora presenti, soprattutto nel Meridione.
Tra i rimedi necessari ci sono un maggiore investimento sulle attività di prevenzione e controllo, l'introduzione di sanzioni adeguate alla gravità ed alle conseguenze dei comportamenti, l'organizzazione di un apparato amministrativo e giudiziario che assicuri l'applicazione certa e rapida delle sanzioni e la promozione di iniziative informative, formative e culturali che sviluppino nel medio-lungo periodo una maggiore attenzione alla prevenzione. E quindi pubblicare i dati sugli infortuni e malattie professionali, oltre che tempestivamente, non solo a livello nazionale, regionale e provinciale, ma anche per ASL, per distretto, per comune e per azienda. Ogni giorno, i telegiornali dovrebbero raccontare la storia di un morto sul lavoro (il materiale, purtroppo, non manca), spiegando chi fosse, quale lavoro svolgeva, quali fossero le cause immediate o mediate che ne hanno provocato la morte e cosa questo ha voluto dire per i famigliari, gli amici, i compagni di lavoro.
In attesa dei tempi biblici e incerti della politica, infine, ciascuno di noi deve chiedersi cosa può fare nell’immediato. Ogni giorno, prima di iniziare la nostra attività quotidiana, ricordiamo ai nostri cari, mariti, mogli, figli, l’importanza del rispetto delle regole che già ci sono. Ricordiamo, agli altri e a noi stessi, che ogni apparente perdita di denaro è da considerarsi un investimento, ed ogni apparente perdita di tempo può rappresentare la conquista di un futuro certo e migliore. E, magari, col semplice gesto di un bacio, ricordiamo ai nostri cari la bellezza, a fine giornata, del ritorno sereno a casa.
Si è calcolato che, in un’ora di lavoro, avvengono circa 360 incidenti. Nel complesso gli incidenti sul lavoro sono circa un milione l'anno e i morti più di mille. La statistica, nel 2008, parla di una media di tre morti al giorno per infortunio sul lavoro (compresi i festivi) ed è comunque sottostimata. Mancano quei lavoratori, non solo immigrati, che non sono registrati come tali. E muoiono anche altri lavoratori, vittime di esposizioni ad agenti cancerogeni e tossici che quasi mai, o con grande fatica, riescono a dimostrare che la causa della loro morte è il lavoro. Il settore con più vittime in assoluto è l’agricoltura con una percentuale del 26,7% e, in quest’ambito, nella quasi totalità dei casi si è trattato di incidenti col trattore. Segue il settore dell’edilizia con il 20,06%, quindi l’industria con il 18,83% di vittime.
In Germania, nel 1995 le vittime erano state 1500, duecento più di quelle italiane. Oggi sono scese a 804 unità, ben il 48,3 % in meno, quasi la metà. Questi numeri ci dimostrano come non si tratti di un fenomeno occasionale e relegato a situazioni straordinarie, ma piuttosto un effetto perverso, che sembra profondamente legato al nostro sistema di produzione e quindi, per larga parte, potenzialmente risolvibile.
Ma le morti sul lavoro non sono il solo problema, numerosi sono anche i casi di lavoratori che, a seguito d’incidenti, si sono ritrovati menomati o con ridotte capacità lavorative: privi di un occhio, con i timpani rotti dal rumore incessante delle macchine, avvelenati per l’inalazione di prodotti tossici usati durante la lavorazione, con le mani tagliate dagli arnesi utilizzati, con artrosi dovute agli sforzi sostenuti, con ustioni provocate dal contratto con varie fonti di calore, paralizzati agli arti, ecc. In totale, nel 2008, gli invalidi per causa di lavoro sono stati oltre 26.000.
Sono delitti che non sempre possono essere imputati alla fatalità, ma sono spesso riconducibili a cause ben precise, come la carenza o, più spesso, l’inosservanza di norme che vincolano le imprese, pubbliche e private, a prevenire la possibilità d’incidenti. Purtroppo in Italia solo alcune di queste norme sono applicate e rispettate, non solo dai datori di lavoro. Vi è poi il problema dei controlli, che spesso latitano, viste le incertezze e la ritrosia degli stessi organi istituzionali e delle imprese, tutti preoccupati dalla possibilità di portare all’attenzione pubblica, tante situazioni di lavoro sommerso, ancora presenti, soprattutto nel Meridione.
Tra i rimedi necessari ci sono un maggiore investimento sulle attività di prevenzione e controllo, l'introduzione di sanzioni adeguate alla gravità ed alle conseguenze dei comportamenti, l'organizzazione di un apparato amministrativo e giudiziario che assicuri l'applicazione certa e rapida delle sanzioni e la promozione di iniziative informative, formative e culturali che sviluppino nel medio-lungo periodo una maggiore attenzione alla prevenzione. E quindi pubblicare i dati sugli infortuni e malattie professionali, oltre che tempestivamente, non solo a livello nazionale, regionale e provinciale, ma anche per ASL, per distretto, per comune e per azienda. Ogni giorno, i telegiornali dovrebbero raccontare la storia di un morto sul lavoro (il materiale, purtroppo, non manca), spiegando chi fosse, quale lavoro svolgeva, quali fossero le cause immediate o mediate che ne hanno provocato la morte e cosa questo ha voluto dire per i famigliari, gli amici, i compagni di lavoro.
In attesa dei tempi biblici e incerti della politica, infine, ciascuno di noi deve chiedersi cosa può fare nell’immediato. Ogni giorno, prima di iniziare la nostra attività quotidiana, ricordiamo ai nostri cari, mariti, mogli, figli, l’importanza del rispetto delle regole che già ci sono. Ricordiamo, agli altri e a noi stessi, che ogni apparente perdita di denaro è da considerarsi un investimento, ed ogni apparente perdita di tempo può rappresentare la conquista di un futuro certo e migliore. E, magari, col semplice gesto di un bacio, ricordiamo ai nostri cari la bellezza, a fine giornata, del ritorno sereno a casa.
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