Del dibattito della scorsa settimana, o meglio del litigio o della guerra consumata tra un pezzo di destra e l'altro, mi è rimasta nel cervello la forma. Non ricordo nessun uomo politico delle istituzioni, terza o quarta carica dello stato, rivolgersi ad un altro uomo delle istituzioni apostrofandolo con il proprio nome di battesimo. Mai avevo sentito in vita mia nominare 'Gianfranco' o 'Silvio' in una sede ufficiale. Se anche due si conoscono ed hanno confidenza tra loro, nelle sedi ufficiali prevale il 'lei', la cortesia, il protocollo. Le critiche venivano mosse anche in maniera accesa, vibrante, si era soliti dire, per nascondere che forse dietro c'erano state minacce o, peggio ancora, chissà che cosa. Ma io sono un romantico, ho un ricordo della prima repubblica che ormai non può esistere più nelle istituzioni della seconda. Però, quello che mi fa specie è il fatto di trattare le cariche dello Stato come se fossero proprietà privata. Io credo che offendere il Presidente della Camera, o attaccare il Presidente del Consiglio entrando in un clima di confidenza, quasi da marito e moglie, è un brutto segno, che indica come le cariche hanno perso il loro originario valore e si siano ridotte ad una proprietà. Questo percorso, di conseguenza, ha portato tali istituzioni, che dovrebbero invece essere un patrimonio di tutti i cittadini italiani, come lo era il grido liberatorio 'forza Italia!', prima della nascita dell'omonimo partito, a perdere quel rispetto del ruolo e diventare merce da gettare nelle contese di ogni genere. Ieri ho pubblicato una vignetta in cui si allude alla confusione che si può generare parlando di calcio e di politica. Ormai è diventato tutto un tifo. Non si vota più per i programmi, ma per lo spirito di appartenenza e per il voto di scambio. E in questo gioco al massacro vengono coinvolte e travolte anche le istituzioni. Mi ha fatto male sentire questi personaggi chiamarsi per nome di battesimo, senza il minimo rispetto delle istituzioni che rappresentano. Mi ha fatto male e mi ha fatto capire, se ancora ce ne fosse bisogno, il punto basso cui ci siamo ridotti. E francamente, da italiano, mi sono vergognato.
"Non bisogna solo essere onesti, ma apparire onesti. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! [...] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!”. (Paolo Borsellino)
lunedì 26 aprile 2010
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