E' morto Eric Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine non c'è più. Ha campato cento anni perché sono sempre i migliori che se ne vanno e lui non era il migliore, anzi. Qualcuno ha detto che non ce lo volevano neanche lassù e hanno cercato di tenerlo quaggiù il più a lungo possibile. Può darsi, ma ora che è morto è facile accanirsi sul suo cadavere, come è stato fatto su quello dei peggiori criminali che la storia ricordi, da dittatori del calibro di Mussolini, Gheddafi, Saddam. Tutti straziati da quelle persone che fino a qualche giorno prima le temevano, se non addirittura, li amavano. Priebke viveva a Roma, era sempre circondato da una scorta, era servito e riverito, contrariamente a ciò che accade a tante brave persone cui si nega anche una dignitosa pensione. Ora che è morto tutti gli si accaniscono contro, quasi volessero infierire sulla salma ormai inerme. Il Vicariato di Roma non ha indugi e scende in campo vietando riti
funebri nei suoi edifici di culto. L'Argentina non lo vuole, forse verrà seppellito in Germania, sua terra di origine, forse farà la fine di Che Guevara, sulla cui tomba pare sia stata costruita un'autostrada, per evitare che ci fossero le processioni dei devoti.
Personalmente ritengo, anche a costo di essere impopolare, che ai morti si deve pietà. Davanti alla soglia della morte l'odio e il rancore si devono fermare perché, gli spiriti sono spogliati delle debolezze umane. Per chi ci crede, poi, condizione necessaria delle professioni di fede è il perdono. Allora cosa c'entra, ammesso che non sia un'esagerazione giornalistica, l'uscita del vicariato di Roma, considerando che, dopo secoli, nella Chiesa si parla di un percorso di perdono anche per argomenti fino ad ora ritenuti non negoziabili. Francamente non capisco. Non credo che i sacerdoti siano in grado di giudicare, solo uno è il Giudice, noi siamo uomini e ciascuno ha qualcosa da farsi perdonare. Il boia è morto ed ha portato con sé il suo carico di nefandezze. Speriamo che a morire non sia anche il nostro senso di civiltà.
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