Leggevo qualche giorno fa un articolo di Michele Serra, dalla sua rubrica "L'Amaca", che mi sento di condividere al cento per cento e per questo lo voglio riproporre a (mia) futura memoria.
"Tutto questo gran parlare della decadenza di B., queste manfrine procedurali, queste schermaglie politiche, questo rimandare alle calende greche, possono anche durare anni; ma non mutano di una virgola la sostanza della questione, così facile che la può capire anche un bambino: può un condannato per reati gravissimi sedere in Parlamento? O è meglio che se ne vada a casa sua? Ha straragione (non semplicemente ragione: stra-ragione) il segretario dell’associazione magistrati Carbone quando dice che l’incandidabilità dei condannati è «un principio di etica, e il fatto che ci sia voluta una legge per ribadirlo indica la debolezza della politica». La legge Severino, in un paese sano di mente, neanche dovrebbe esistere: normatizza un principio elementare, che dovrebbe essere scontato prima di tutto per i politici. Girala o rigirala come ti pare, la Severino dice che in Parlamento non devono sedere dei criminali. Punto. E chi la tira tanto in lungo cerca di aggirare non tanto la Severino, quando l’ovvio principio etico che quella legge interpreta, nella penosa necessità di sancire ciò che ogni politico, per sua dignità, avrebbe dovuto sapere già da sé solo, senza alcun bisogno che un pezzo di carta glielo rammenti."
Dunque ricapitolando, è come quando nel 2000, in occasione di referendum particolarmente sentiti, fu emanata una legge per togliere le persone decedute dagli elenchi dei potenziali elettori, in modo da non falsare il quorum. Come se ci volesse una legge per stabilire che un morto non ha più diritto di voto. O la legge sulle quote rosa, come se ci volesse una legge da WWF per stabilire che le donne hanno diritto a candidarsi in un numero congruo. Ma siamo in Italia, la Repubblica dell'assurdo, dove a dispetto della giungla di norme, spesso ridondanti, regna l'incertezza giuridica.
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