Cominciamo a dire che c'è un senato, in una repubblica democratica europea, dove siedono regolarmente persone che, in un modo o nell'altro, hanno avuto rapporti continuativi con la criminalità organizzata. Per esempio, un politico di lungo corso dal nome di Giulio Andreotti è stato condannato per mafia, per fatti commessi almeno fino al 1982 e pertanto, dal momento che la sentenza è stata scritta solo dopo i termini previsti, il reato è stato prescritto, cioè a dire che l'imputato era colpevole, ma la giustizia è arrivata troppo tardi, quindi resta libero. Giubilo tra i sostenitori, soprattutto fra i colleghi politici che, invece di mandarlo fuori a pedate e prendere da lui le dovute distanze, si sono lasciati andare in elogi sperticati al mafioso e in accuse infondate e incomprensibili ai presunti denigratori. E questo è un senatore a vita.
Passiamo a Salvatore Cuffaro, detto Totò. Condannato in primo grado a cinque anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e con una richiesta di condanna a dieci anni in secondo grado, per lo stesso reato. Alla lettura del primo verdetto si è consumato il noto ricevimento a base di cannoli siciliani per la vittoria ottenuta, rispetto alla condanna che probabilmente si aspettava lui e i suoi più stretti collaboratori. Alle elezioni successive , forte di questo fiero curriculum, viene eletto come componente del senato della repubblica senza che il responsabile del suo partito alzi un sopracciglio, ma con tutti gli onori e le difese possibili. Anzi, il reato di concorso esterno, per certe persone, è un'invenzione di certa magistratura, non esiste, e pertanto sono pura teoria anche le azioni, perlomeno dubbie, commesse dagli imputati.
Quello stesso senato, di quella stessa repubblica, è presieduto dal senatore Renato Schifani, il quale ha denunciato un giornalista per averlo diffamato nel corso di una trasmissione televisiva, parlando di lui come di una persona che avrebbe dovuto spiegare, ora che era la seconda carica dello stato, i suoi rapporti avuti in passato con certi mafiosi, a questo il giornalista incauto aveva aggiunto un'offesa personale, una specie di battuta venuta male, per la quale è stato condannato ad un risarcimento di 16.000 euro. Naturalmente nessun giudice ha dichiarato, né scritto, che le ombre sul suo passato erano teoremi fantasiosi. Quindi, il senato di quella repubblica è a tutt'oggi presieduto da un politico che ha avuto rapporti con personaggi mafiosi per motivi, forse legittimi, ma di cui nessun collega chiede conto e nessun cittadino, per propria tranquillità, riesce a sapere nulla.
Sorvolando su Nicola Di Girolamo, che si è dimesso pochi mesi fa dalla carica di senatore, veniamo al pezzo forte, l'uomo del giorno, colui il quale ha dichiarato pubblicamente che è entrato in politica per non finire in galera, ma che della politica non gliene importa nulla, colui il quale ha definito eroe un suo presunto collega, non politico o senatore, ma mafioso. Sì, perché, nonostante si sia festeggiato, anche in questo caso, Marcello Dell'Utri è stato condannato per fatti di mafia commessi almeno fino al 1992. Di quello che è successo dopo non si è certi, ci sono molte coincidenze e sono possibili solo deduzioni, ma niente prove, quindi, secondo i colleghi di partito, non c'è nulla e nessuno da cui prendere debitamente le distanze.
Il problema è che queste persone, poverine, sono state vaccinate, poco a poco, e adesso, per dirla in linguaggio medico, hanno sviluppato la tolleranza alla mafia, per cui gli va bene tutto, fino all'arresto, e anche lì, magari, come successo in altre occasioni, vanno in carcere, o ci girano intorno, per solidarizzare con i loro compari e per convincerli a fare gli eroi anche loro. Restando muti.
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