Nei giorni immediatamente successivi alla votazione sui referendum, raggiante come non mai, discutevo di politca e di democrazia con un gruppo di persone che non si erano recate alle urne, avendo preferito seguire le indicazioni astensionistiche del proprio partito. Sì, perché, checché ne dicano i professionisti della politica, il PDL aveva chiaramente chiesto ai propri elettori di non andare a votare, anche se, all'ultimo momento, il premier aveva concesso la libertà di coscienza. Di fatto, però, lui stesso aveva bellamente dichiarato che non sarebbe andato a votare e tutti i suoi seguaci più o meno apparterenenti alla classe dirigente del partito, si erano dichiarati astensionisti, bocciando le intenzioni dei referendari. Dicevo, mi trovavo a parlare con queste persone e sostenevo la bontà della mia decisione di andare a votare, anche se, affermavo, questa è una vittoria, non della politica, di destra o di sinistra, ma è una vittoria della democrazia, dei cittadini che, anche se per poco, sono tornati ad essere proprietari del potere.
Detto questo è ricominciato il solito balletto sulle cose fatte dal governo e sulle cose non fatte, sull'immobilismo che si respitra a tutti i livelli, da uin po' di tempo a questa parte e sull'inutilità di avere al governo un uomo talmente compromesso da non essere mai stato veramente utile alla causa. A queste parole mi sono sentito rispondere che il capo dell'esecutivo ha impedito che, negli ultimi vent'anni circa, i comunisti andassero al governo del Paese.
A quel punto ho capito che non era più il caso di continuare. Riprendendo un articolo scritto qualche settimana fa, rivedo, ad ogni occasione lo stesso atteggiamento che spero sempre non sia una cosa diffusa, ma puntualmente vengo smentito dai fatti. La politica vista come schieramenti, non come persone. I partiti visti come squadre per cui tifare, non come persone da criticare quando lavorano male.
Ieri c'è stato il raduno della Lega Nord a Pontida. Nell'occasione si è detto tutto ed il contrario di tutto e, alla fine, c'è stata la conclusione che sbugiardava solennemente la premessa. Cioè, in pratica, siamo contro questo governo, ma non possiamo farlo cadere perché sennò vincono gli altri. Lo stesso capo del governo ha dichiarato, indipendentemente dalla bantà o meno dell'esecutivo da lui presieduto, che non vi sono alternative. Cioè, non siamo buoni ma al nostro posto ci potrebbero essere gli altri, quindi accontentatevi. Insomma il giochino è sempre lo stesso, si continua a fare dei cittadini dei tifosi, non dei fruitori di servizi e di diritti. Quando uno comanda, il patto con gli elettori non è servirli e risolvere i loro problemi, ma cercare di stare al proprio posto quanto più è possibile, perché sennò subentrano gli altri. E questo a dispetto dei risultati elettorali, dei magistrati degli scandali e di tutto il resto.
E' veramente questo che vogliamo dalla politica?
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