Ieri era il giorno di due celebrazioni, una per una persona appena deceduta, il cardinale Martini, l'altra per un uomo di stato morto trent'anni fa, il generale Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia.
E' curioso come, in tutte e due le occasioni, sono state dette cose giuste da persone sbagliate. Infatti, la morte del cardinale Martini dovrebbe rappresentare, per la Chiesa, un momento forse irripetibile per fare un esame di coscienza e raccogliere quell'eredità preziosa che l'alto prelato ci ha lasciato, coerente fino alla fine con le sue parole. Ma, dai primi passi effettuati, la Chiesa, quella delle gerarchie, si è subito affrettata a dire che il caso Martini non può essere assimilato ai casi Welby ed Englaro, perché loro sono morti dopo molti anni dall'inizio della malattia, mentre il cardinale è morto praticamente subito, quindi era normale che rifiutasse le terapie che non gli avrebbero consentito di allungare in maniera significativa la durata della sua vita. Naturalmente non vi è stato nessun accenno al fatto che la tracheostomia e il sondino naso-gastrico sono terapie routinarie per i malati e che di fronte ad una crisi respiratoria e ad una disidratazione acuta possono, non solo essere salvavita, ma a volte sono risolutive di tante situazioni e allungano la vita oltre la nostra immaginazione. Come dire che i temi non negoziabili resteranno tali con buona pace di tutti i bei discorsi sfoderati dall'arcivescovo Scola e dal Papa Benedetto. Nulla cambierà e lo scocciatore Martini verrà definitivamente seppellito, con tutte le sue idee.
Una cosa analoga è successa con la commemorazione del generale Dalla Chiesa, isolato e poi, a quanto pare, ucciso da uno stato che dieci anni dopo ha accettato una trattativa con la mafia e trent'anni dopo discute su intercettazioni nelle quali è coinvolto perfino il capo dello stato. Anche lì l'ipocrisia l'ha fatta da padrone con un ministro degli interni e un presidente del consiglio che giurano sulla priorità della lotta alla mafia. Dopo che non hanno ancora approvato una legge seria sulla corruzione e sull'evasione fiscale.
Un'ultima nota la voglio dedicare al presidente di confindustria che plaude agli incentivi finalizzati all'innovazione tecnologica. Allora, suggerisco di dare i soldi solo a quelle aziende che hanno innovato negli ultimi tre anni e fra tre anni a quelli che iniziano ad innovare oggi. Così si premiano le persone per bene e si penalizzano quelli che vorrebbero, anche in tempi di crisi, continuare a mettere i soldi in tasca senza muovere un dito.
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